Il Sire degli Abissi è un patrono turbolento, talvolta crudele nella sua ira contro coloro che non lo onorano propriamente con sacrifici degni, eppure le acque sacre del Ròdendash, il suo santuario, sono pacifiche e calme come vino nella coppa di un sacerdote.
Dieci giorni di venti favorevoli e la grazia di Hùron che è nei Cieli ci hanno sospinto lungo le coste frastagliate del Mare Sacro sulla rotta per Phàlos senza incontrare difficoltà e confido che di questo passo raggiungeremo i moli della città in capo a una settimana.
Sebbene sia grato agli Alti Gerònti della loro benedizione sul nostro viaggio ammetto di aver accolto con un certo conforto il suggerimento del capitano Rheso di sostare presso l'isola di Thalassa per far visita al tempio di Ròdon e offrire al Re Torbido un ecatombe in segno di gratitudine. Apprezzo molto la devozione di queste genti meridionali e dopo tanto navigare sono lieto di poter sentire di nuovo la terraferma sotto ai piedi, foss'anche per una notte.
Raggiungere l'isola su un'imbarcazione è comunque assolutamente vietato dalle Leggi del Lògonor e dunque il Kyrios viene ormeggiato in un fiordo nei pressi di un piccolo villaggio di pescatori sulla costa occidentale del Mare Sacro, a poche miglia a nuoto dall'isola.
L'abitato è composto da una decina di capanne dall'aspetto misero, ottenute dalle chiglie rovesciate di vecchi pescherecci e dalle reti abilmente intrecciate dalle donne del posto. Le genti che lo abitano sono use al ricevere le visite di viaggiatori devoti e gli uomini del posto, di certo esperti nuotatori, si offrono immediatamente di farci da guida per raggiungere l'isola a nuoto secondo l'antica tradizione.
Dopo aver riposato ed aver condiviso un pasto frugale a base di pesce essiccato con le genti del villaggio, scelgo uno di loro, un giovane di nome Olo, per accompagnarci a Thalassa offrendogli una collana di conchiglie Neòssiane come compenso per i suoi servigi.
Olo si dimostra tanto entusiasta del dono ricevuto che mi invita nella sua capanna dove mi espone una serie di "tesori" raccolti, a suo dire, sui fondali sacri della baia.
Sono sorpreso di notare tra essi numerosi utensili cucchiai in bronzo, stoviglie in madreperla e vecchie pietre intagliate che mi ricordano i fregi sulle colonne dei giardini Hùroniani a Myronos.
Interrogato sulla provenienza di questi curiosi oggetti Olo mi rivela che tra le foreste di alghe che costellano le profondità del Ròdendash esistono molte grandi città dimenticate, annegate dalla furia del Re Torbido al principio del Lògonor per qualche tremenda blasfemia commessa dagli abitanti di quelle terre scomparse contro i Gerònti che tutto possono.
Sebbene anche a Myronos avessi udito leggende sul grande regno di Obassha sono sempre stato convinto che si trattasse di vecchi racconti da Aedo, messi in giro per dissuadere i giovani myroniani dal bestemmiare contro gli Alti Gerònti.
Uno degli oggetti che attirano maggiormente la mia curiosità è tuttavia un voluminoso schiniero di bronzo, simile a quello indossato dal mio fedele Yròdoro per proteggersi in battaglia ma almeno due palmi più lungo di qualunque gambale io abbia mai visto indossare perfino al più alto dei Sarantòpodi. Notando il mio interesse Olo mi rivela di averlo trovato nei pressi dell'Isola Sacra, tra i resti di una antica battaglia e insiste nel dire che si tratti senza dubbio di un pezzo dell'armatura di uno dei Kouros, che i marinai del Neossash chiamano Ostrakon, guardiani del Lògonor da tempo scomparsi dalle terre degli Uomini.
Che sia vero o meno decido di acquistare il pezzo offrendogli un'altra manciata di conchiglie ed una vecchia lama spuntata presa dalle armerie di mio padre per occasioni come questa... Sono certo che al mio ritorno farà una certa figura nella sala delle meraviglie della mia famiglia.
Domattina, dopo esserci purificati dalle fatiche del viaggio, ci immergeremo nelle acque tiepide del Ròdendash e raggiungeremo Thalassa a nuoto, portando con noi otri di buon vino e offerte di pesce e grano appena mietuto per il Re Torbido.
Possa il Sire degli Abissi gradire il nostro tributo e concederci un passaggio sicuro tra le sue acque sino a Phàlos.
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